venerdì 9 giugno 2017

May senza maggioranza ma non si dimette



Il partito conservatore della premier britannica Theresa May è primo in base allo spoglio parziale del voto, ma ha perso la maggioranza dei seggi in Parlamento: un dato che apre una fase di grande incertezza e solleva pesanti interrogativi su chi guiderà il Paese nei negoziati sulla Brexit e con quale mandato. La sterlina ha perso terreno nel timore che la leader conservatrice non riesca a formare un governo e sia costretta alle dimissioni, al termine di una campagna turbolenta, funestata da due attacchi terroristici.
Dopo la sua rielezione nel collegio di Maidenhead, popolato di pendolari, May ha detto che la Gran Bretagna “necessita un periodo di stabilità” mentre si prepara al complesso processo di uscita dell’Unione europea. La premier ha aggiunto che pur se il risultato definitivo non è ancora noto, il suo partito sembra aver vinto la maggioranza dei seggi ed “è il nostro compito garantire un periodo di stabilità”. Secondo l’editor politico della Bbc Laura Kuennsberg la premier non ha alcuna intenzione di lasciare Downing Street. Kuennsberg ha twittato che May vuole formare un governo sulla base del fatto che i Tories restano il maggior partito in termini di seggi e voti.
Ma il leader dell’opposizione di sinistra Jeremy Corbyn, il cui partito laburista partiva con uno svantaggio di 20 punti percentuali, ha invitato May a dimettersi, dicendo che “ha perso voti, perso sostegno e perso fiducia”.
Secondo la proiezione sui due terzi circa dei collegi scrutinati i Tories avrebbero 315 seggi, perdendone 12 rispetto al parlamento uscente, e ottenendone meno dei 326 che rappresentano la maggioranza alla Camera dei Comuni. I laburisti salirebbero a 261 seggi, in crescita di 31, concretizzando la possibilità di un “hung parliament”, un parlamento senza maggioranza, altra sorpresa della politica britannica dopo il referendum di giugno 2016 sulla Brexit.
May, 60enne figlia di un vicario, ora deve rispondere alle scomode domande sulla sua decisione di andare al voto con tre anni d’anticipo mettendo in pericolo la piccola ma solida maggioranza di 17 seggi del suo partito. La sterlina ha perso il due per cento sul dollaro mentre gli investitori si chiedono chi avrà il controllo della Brexit ora. Le prime pagine dei giornali rispecchiano il dramma: “La Gran Bretagna sul filo del rasoio” , “Mayhem”, un gioco di parole tra il cognome della premier e la parola che in inglese significa caos, e “Appesi a un filo”.
In una nottata che rischia di ridisegnare, ancora una volta, lo scenario politico britannico, gli euroscettici dell’UK Independence Party (UKIP), che due anni fa avevano il 12,5% e hanno guidato la campagna referendaria per la Brexit, rischiano di sparire. Gli europeisti liberaldemocratici, che hanno fatto campagna per un secondo referendum sulla Ue, vedrebbero un aumento dei loro seggi a


La premier: "Garantirò la stabilità". Corbyn: 'Si dimetta


12 da nove, ma l’ex leader Nick Clegg ha perso il seggio. Stessa sorte è toccata all’ex leader carismatico dello Scottish national Party, Alex Salmond: il suo partito nazionalista scozzese, oggi guidato dalla sua delfina Nicola Sturgeon, ha preso una batosta, perdendo 19 dei suoi 54 seggi a Westminster.
May, arrivata a Downing Street dopo il referendum sulla Brexit di giugno 2016, ha dato il via al processo formale di uscita dalla Ue il 29 marzo, promettendo di portare Londra fuori dal mercato unico e di tagliare l’immigrazione. Cercando di capitalizzare su una popolarità alle stelle, ha indetto le elezioni politiche anticipate qualche settimana dopo, chiedendo agli elettori un mandato forte per i negoziati sulla Brexit, che dovrebbero iniziare il 19 giugno.
Bruxelles sperava in un esito elettorale che potesse ammorbidire la linea del governo di Londra, ma la prospettiva di un parlamento senza maggioranza spaventa anche l’Europa. Dopo una campagna tiepida contro la Brexit, il Labour ha accettato l’uscita dalla Ue ma non vuole la “hard Brexit” propugnata da May e intende mantenere i legami economici con il Continente. Un mese fa il partito di Corbyn sembrava destinato alla disfatta, lacerato da divisioni interne e da rivolte ricorrenti contro il leader socialista considerato inadeguato. Ma un clamoroso errore di May in campagna (l’annuncio, poi ritirato, di una riforma delle cure per gli anziani che li penalizzava), una forte campagna porta a porta di Corbyn e gli attacchi terroristici, che hanno messo al centro del dibattito i sei anni di May da ministra degli Interni, hanno cambiato le carte in tavola.