martedì 18 febbraio 2014

UN LEADER COSTRETTO A PRENDERE ATTO DEI TEMPI LUNGHI (Massimo Franco)

L’impressione è che pensi di farcela e possa riuscirci. Seppure in tempi un po’ meno brevi di quelli che aveva immaginato. Ma il Matteo Renzi emerso ieri dal colloquio di oltre un’ora col capo dello Stato, Giorgio Napolitano, è apparso teso, più asciutto e meno baldanzoso del solito. Segno che al Quirinale si è reso conto di quali e quante difficoltà l’incarico di formare il governo comporterà. È possibile che a fine settimana torni dal presidente della Repubblica e sciolga la riserva. Eppure, per ora la composizione del suo esecutivo rimane avvolta da una nuvola di nomi e insieme da una sostanziale incertezza.
Anche se il problema, ormai, non è se farà il governo, ma che forma prenderà. Dalla sua composizione si capirà se può davvero avere ambizioni di legislatura, come ha dichiarato ieri Renzi dopo l’udienza da Napolitano; e se riuscirà a imporre il livello di novità col quale nei mesi scorsi ha costruito la sua immagine di picconatore della vecchia nomenklatura politica. Saranno decisivi le caselle dell’Economia, sulla quale il segretario del Pd non potrà prescindere dai vincoli europei, e i dicasteri da distribuire agli alleati.
Ieri l’Ue si è fatta sentire, con il presidente dell’Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem, e il commissario agli affari economici, Olli Rehn. La richiesta è quella di un «vero europeista» all’Economia. La loro presa di posizione riflette la volontà di puntare sul governo Renzi ma anche di assicurarsi che non deragli dagli impegni già assunti. Difficoltà internazionali e interne si mescolano, inserendo un residuo di incertezza. Il Nuovo centrodestra di Angelino Alfano diffida dell’operazione che ha portato alle dimissioni di Enrico Letta, e delle manovre parlamentari con FI.
Il rapporto con il Ncd si è complicato. Per paradosso, dando l’impressione di potere sfruttare in Parlamento un sostegno berlusconiano, Renzi in qualche modo «costringe» Alfano a tenere duro. In più, le dichiarazioni al telefono fatte in confidenza e in buona fede ad un finto Nichi Vendola da Fabrizio Barca, uno dei candidati al ministero dell’Economia, hanno creato qualche imbarazzo. Accreditano, non si sa con quale fondatezza, una forte influenza del Gruppo Espresso-Repubblica nella scelta del ministro; e quella che Barca definisce «improvvisazione e disperazione» del presidente incaricato.

Si tratta di veleni sprigionati in una fase di passaggio rischiosa. E confermano le trappole che Renzi deve prepararsi a evitare. Avere additato quattro riforme radicali in quattro mesi su sistema elettorale, pubblica amministrazione, lavoro e Fisco, solleva molte riserve. Non c’è solo lo scetticismo degli avversari: si indovinano anche i dubbi di alcuni settori del Pd. Giovanni Toti, consigliere politico del Cavaliere, si chiede come Renzi riuscirà a realizzarle «avendo la stessa maggioranza politica, gli stessi dirigenti e gli stessi vincoli di bilancio che aveva il governo Letta». È una domanda legittima.

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