martedì 22 febbraio 2011

Conferenza della Repubblica,nuova sede di confronto per il sistema delle Autonomie


Con il disegno di legge, approvato dal Consiglio dei ministri
il 18 febbraio 2011 si avvia il percorso volto ad istituire la
Conferenza della Repubblica, un nuovo modello organizzativo
che assorbe al suo interno e sostituisce le attuali conferenze:
Conferenza Stato-Regioni, Conferenza Stato-Città ed Autonomie
locali e Conferenza unificata.
Il provvedimento individua nella Conferenza della Repubblica,
la nuova sede di confronto, concertazione e attuazione del
principio di leale collaborazione tra lo Stato e le autonomie
regionali e locali.
Con l'istituzione della Conferenza della Repubblica vengono definiti
tempi e procedure più celeri nell'esame dei provvedimenti,
oggetto di confronto tra Stato, Regioni ed Autonomie locali.
Con riguardo al funzionamento della Conferenza, i decreti
delegati dovranno disciplinare le modalità di votazione
delle sedute, stabilire termini perentori per l'acquisizione
dell'assenso delle autonomie regionali e locali sui
provvedimenti del Governo, nonché disciplinare i casi di mancata
partecipazione ovvero di astensione alla votazione
alle sedute della Conferenza della Repubblica e delle Sezioni,
secondo criteri di semplificazione e di celerità, stabilendo
la validità della votazione sulla base dei presenti.
Al fine di migliorare i lavori della Conferenza e delle
Sezioni, si prevede: l'istituzione di commissioni
permanenti politiche, suddivise per settori, con il compito
di esprimere la propria posizione ai fini della deliberazione
della sede plenaria e delle Sezioni; l'introduzione di una
disciplina della fase istruttoria delle sedute della Conferenza
della Repubblica e delle Sezioni svolta mediante le riunioni
tecniche preparatorie, prevedendone forme di pubblicità
e stabilendo la necessità della conclusione dell'istruttoria
tecnica ai fini dell'iscrizione degli argomenti all'ordine
del giorno della Conferenza, delle Sezioni e delle predette
commissioni; la costituzione di gruppi di lavoro nell'ambito
della Conferenza della Repubblica e delle Sezioni,
con compiti di approfondimento istruttorio tecnico e politico.
Leggi La Conferenza della Repubblica: nuova sede di confronto tra Stato ed autonomie regionali e locali

lunedì 21 febbraio 2011

Anche la politica fa le bolle

Tutti i rischi dell'euforia in borsa, al supermercato e in cabina
La crisi finanziaria ed economica ha contribuito a diffondere il termine di bolla finanziaria. In realtà questi eventi si sono sempre manifestati da quando è stato possibile l’investimento in valori mobiliari e immobiliari, ma l’estensione e il volume delle transazioni finanziarie, oggi, hanno aumentato enormemente il loro numero e la loro intensità. La formazione delle bolle finanziarie è legata a una componente più emozionale che razionale dell’animo umano, infatti quando vengono a formarsi condizioni economiche e finanziarie che alimentano aspettative di crescita dei valori mobiliari (azioni, obbligazioni) e immobiliari (prezzi degli immobili) i risparmiatori sono spinti ad approfittare del momento favorevole per comperare questi titoli e questi beni contribuendo così a farne aumentare il valore. In questo modo, si viene a formare un processo euforico che si autoalimenta illudendo tutti che questa condizione positiva non finirà mai e così il mercato comincia a vivere, sempre più, una sua vita indipendente dalla realtà, la bolla finanziaria. Fino a quando qualcuno comincia a vendere in modo da invertire la tendenza e così si precipita nella paura e nel caos delle perdite, che rendono quasi tutti perdenti.

Le bolle, però, per la loro natura emozionale, sono estensibili a tutti quei settori dove l’uomo viene condotto a decidere da fattori emozionali più che da quelli razionali; la sensibilità a questo tipo di messaggi ha ispirato, spesso, le campagne di marketing delle imprese orientandole verso un modello di consumismo diffuso. L’attenzione al consumo di beni e servizi, spesso voluttuari, non è dettato da un bisogno razionale ma dall’emozione che l’acquisto genera. Questa modalità emozionale dell’acquisto, promossa da una pubblicità che genera modelli di benessere illusorio, fa stare bene perché aiuta a identificarsi in un’immagine di se stessi che non corrisponde alla realtà ma ne anestetizza la possibile percezione dolorosa.

Tale modalità di comunicazione si è da tempo estesa alla comunicazione politica, indistintamente per partiti e per paesi; i politici hanno imparato a fare appello ai desideri degli elettori invece di proporre politiche in cui credevano. Gli elettori finiscono per scegliere quei candidati che dicono quello che loro desiderano, ma non necessariamente la verità, che può essere dolorosa e quindi da evitare. In questo modo, come nelle bolle finanziarie, il consenso va crescendo su aspettative illusorie ma non realistiche e i due fattori si alimentano a vicenda. Come nelle bolle finanziarie, però, si corre il rischio che le aspettative promesse possano essere sempre più lontane dalla realtà e la loro distanza può crescere fino a creare una bolla politica che, prima o poi, inesorabilmente scoppia, facendo aumentare la distanza tra paese ed istituzioni. Già Tocqueville rimarcava il rischio di un potere politico che penetrando insensibilmente nell’interiorità degli individui potesse dirigerne le azioni, orientarne le scelte e indebolirne le volontà.

Il rischio di un evento di questo genere in una fase di grande confusione e incertezza dovrebbe indurre tutti a una maggiore prudenza nei comportamenti e nelle dichiarazioni, al fine di favorire un dialogo e un confronto costruttivo. Le risposte a una crisi che ha un risvolto economico immediato ma un’origine più profonda e lontana, legata a un modello di società che è diventata sempre più individualista e antiegalitaria, vanno ricercate attuando comportamenti più collaborativi e condivisi al fine di ricomporre le diversità verso un bene comune non solo dichiarato ma anche realizzato.
di Fabrizio Pezzani, ordinario di amministrazione e controllo nelle pubbliche amministrazioni alla Bocconi

sabato 12 febbraio 2011

La modifica del Titolo V della Costituzione è stato un errore?

«Prima di modificare il Titolo V della Costituzione, si sarebbe dovuto equilibrare il gap tra Nord e Sud d'Italia, come è avvenuto tra la Germania Ovest e la Germania Est dopo la caduta del Muro di Berlino»

Con l'avvicinarsi del 17 Marzo 2011, data in cui orgogliosamente le scuole italiane festeggeranno il 150° anniversario dell'unità d'Italia, ci troviamo ad affrontare questa ricorrenza con tantissimi interrogativi e incertezze. Anche le cose più semplici e scontate sembrano problematiche e controverse. Il Ministro della Pubblica Istruzione in un primo momento si era espressa, con animo patriottico e unitario, per la chiusura delle scuole il 17 Marzo, poi ha revocato tale chiusura, generando disorientamento e perplessità.
Tra blocchi contrattuali scaduti da più di un anno, blocco degli scatti di anzianità, fallimento delle sperimentazioni sulla valutazione delle scuole e dei docenti,sentenza della Corte Costituzionale sulla illegittimità del comma 4 ter dell’art.1 del decreto legge n.134/09 ,convertito in legge n.167/09,riguardante le graduatorie ad esaurimento del personale docente, impossibilità di bandire il concorso per Dirigenti Scolastici, problemi di democrazia e rappresentanza interna, tagli continui del personale docente e ata ,non possiamo certamente affermare che la scuola dell'autonomia goda di ottima salute.
La scuola italiana non ha saputo passare correttamente da un assetto centralista ad un assetto autonomo, sia per l'impreparazione della sua classe dirigente e sia per una scelta sbagliata dei tempi.
L'autonomia scolastica avviata con la modifica, a stretta maggioranza di centro-sinistra, del Titolo V della Costituzione, non è stata, a mio parere, giustamente interpretata ed adeguatamente progettata. Sono scientemente convinto di due cose :

  • Un sitema scolastico autonomo è fortemente influenzato dall'epoca storica in cui viene impiantato e dall'assetto socio-culturale del territorio in cui questo deve innestarsi.

  • L'istituzione scolastica che gode di autonomia deve essere valutata secondo procedure di accountability da professionisti esterni anche al territorio in cui opera la scuola.

    L'autonomia scolastica nasce in Italia, in un periodo storico poco propizio ed in un territorio in cui il problema della questione meridionale non solo non è stato mai risolto, ma viene stigmatizzato dallo straripare del fenomeno leghista.L'incapacità degli amministratori pubblici del sud ad amministrare la cosa pubblica viene messa in evidenza come fosse una tara genetica, che non può ricadere sui virtuosi amministratori del Nord.
    Si ignorano 150 anni di sfruttamento dei popoli meridionali a favore dell'arricchimento del Lombardo-Veneto.
    Si ignora, a mio modo di vedere le cose, consapevolmente, che la questione meridionale non è mai stata risolta, ma è servita al Paese, per fornire facilmente braccia per rendere industrializzato ed avanzato il Nord, e fini intelligenze per far funzionare bene scuole, ospedali e la funzione pubblica.

    Prima di modificare il Titolo V della Costituzione, si sarebbe dovuto equilibrare il gap tra Nord e Sud d'Italia, come è avvenuto tra la Germania Ovest e la Germania Est dopo la caduta del Muro di Berlino.

    In seconda istanza, è paradossale per non dire comico che si stia pensando di introdurre la valutazione delle scuole e dei docenti con modalità autoreferenziali. Penso che per avere una valutazione seria e ponderata il compito spetti ad un'agenzia esterna che sentiti i pareri delle varie componenti interne, esaminato e monitorato l'effettivo lavoro svolto dalla scuola possa esprimere un giudizio reale e non influenzato dai legami e poteri del territorio.

    Oggi, sopratutto nel sud d'Italia , la scuola autonoma funziona male e produce risultati peggiori della scuola centralizzata e la sua autonomia è servita solamente a dare poteri forti a Dirigenti Scolastici e ad abbattere completamente la partecipazione democratica.

    Qualcuno spera che con il compimento della riforma Federalista dello Stato l'autonomia scolastica troverà il suo collocamento naturale, io penso che per il mezzogiorno sia un grosso problema.

    Sono 150 anni che è stata fatta l'ITALIA, ma ancora bisogna fare gli italiani,e poi l'Italia non è la Svizzera.
    Fonte AetnaNet Lucio Ficara lucio

martedì 8 febbraio 2011

Dalla finanza derivata a quella autonoma: il nuovo testo sul federalismo municipale

Con il decreto sul federalismo municipale si passa dalla finanza derivata a quella autonoma, sostituendo oltre 11 miliardi di trasferimenti statali annui - assegnati in base al criterio della spesa storica - con tributi propri e compartecipazioni.
Il decreto non introduce nuove imposte ma vengono accorpate ben 10 delle 18 attuali forme impositive.
Le imposte locali diventano “tracciabili”.
Il federalismo municipale è stato approvato definitivamente dal Consiglio dei ministri straordinario del 3 febbraio 2011, ma il cammino del decreto non è ancora concluso.
Su richiesta del Capo dello Stato, il provvedimento tornerà di nuovo all’attenzione del Parlamento. Il decreto sul federalismo municipale è il quarto decreto attuativo del federalismo fiscale. Su richiesta della Commissione bicamerale per l'attuazione del federalismo fiscale, che per legge ha 60 giorni per esprimere il proprio parere, scaduto tale termine l'8 gennaio scorso, ha chiesto una proroga di 20 giorni, ulteriormente dilatata di una settimana. La Commissione si è espressa nella seduta del 3 febbraio con 15 voti a favore del provvedimento e 15 contrari, facendo così mancare il parere. Il provvedimento approvato risulta ampiamente modificato rispetto allo schema di decreto approvato il 4 agosto 2010, avendo il governo accolto le richieste di modifica avanzate dall'Anci.
LEGGI Dossier “Federalismo municipale, il quarto decreto attuativo”